lunedì 7 novembre 2011
Marilyn Manson
Un anticristo al tempo di Mtv
di Mauro RomaCon un repertorio all'insegna di truculenze sonore e verbali, in bilico tra industrial e horror-rock, Brian Warner, in arte Marilyn Manson, è diventato l'anti-Cristo per eccellenza degli anni Novanta. Ma dietro i make-up grotteschi e le provocazioni "sataniste", c'è (quasi sempre) il trucco...
"Dedico questo libro a Hugh e Barb Warner. Possa Dio perdonarli per avermi messo al mondo".
Inizia con questa dedica ai genitori l'autobiografia di Brian Warner, in arte Marilyn Manson, il più significativo anti-eroe mediatico apparso sotto i riflettori del music-business degli anni Novanta. Una riga che dice tutto quel che c'è da sapere su Marilyn Manson.
Il suo è un caso esemplare di "personaggio" che se all'inizio poteva anche risultare realmente disturbante, con il successo (specie quello di scandalo) si è visto costretto a trasformarsi in una maschera innocua, ultima e perfetta espressione del cattivo gusto e l'ipocrisia dello show-biz.
La sua è anche una carriera i cui aspetti significativi si svolgono per il 99% fuori dal discorso musicale: è una carriera fatta di shock e provocazioni programmate ad arte, di un teatro del grottesco più kitsch e truculento mutuato da provocatori del passato ben più trasgressivi e originali di lui (su tutti Alice Cooper e Ozzy Osbourne, ma anche il compianto Rozz Williams). Provocazioni studiate alla perfezione da un lato per scandalizzare le masse di benpensanti, bigotti, finto-moralisti e compagnia bella (scandalo sulla bocca di tutti, scandalo di cui parlare nei talk show televisivi = tanta utile pubblicità) e dall'altro per apparire come una rivelazione a frotte di ragazzini rincitrulliti da Mtv, stile Beavis & Butthead, che eleggendo Manson a loro idolo hanno finalmente un modello di "cattivo", "trasgressivo" e "pericoloso" alla loro portata, pronto ad assecondare ogni loro aspettativa. Amenità quali farsi crocifiggere e strappare pagine della Bibbia sul palco (tutto già fatto da Rozz Williams, grazie), e più in generale i suoi concerti all'insegna dell'oscenità (ma il suo è perlopiù un teatro della provocazione rimasto fermo alla fase anale), le sue canzoni all'insegna della brutalità più rozza e più facile e, in maniera direttamente proporzionale al crescere del suo successo, sempre più falsa e vuota.
Manson è l'ultimo rock-shocker piombato sulla scena: ma è lungi dall'essere il più originale, o il più pericoloso o trasgressivo. Al massimo può essere a ragione considerato uno dei furbi, intelligenti e commercialmente avveduti. Se a Marilyn Manson vanno riconosciuti dei meriti questi sono quasi esclusivamente di natura mediatica: oggi non più, ma almeno a partire dagli ultimi anni Novanta è innegabile la sua abilità nel gestire la sua immagine (abilità però più vicina semmai a quella di Madonna che a quella di David Bowie), attraverso accorti cambi di look, apparizioni e dichiarazioni pubbliche. Soprattutto è innegabile la sua furbizia nel cavalcare abilmente ogni minima occasione di scandalo che possa riguardarlo, anche solo lontanamente.
Musicalmente ha scritto pagine di importanza minima, se non nulla. Ha azzeccato, nel suo genere, alcune buone canzoni e poco più. Ma per diventare il nemico pubblico numero uno del mainstream nell'era delle Spice Girls prima e di Britney Spears poi, è logico che il fatto musicale sia di gran lunga il meno importante.
Ritratto di una famiglia americana
Brian Warner nasce a Canton, Ohio, nel 1969. La sua è la tipica famiglia media della squallida provincia americana: figlio unico di Barbara, infermiera, e Hugh Warner, commerciante, reduce dal Vietnam, assente, irascibile, violento. Ovviamente, il giovane Brian frequenta una repressiva scuola religiosa, nella quale ovviamente sviluppa un senso di disgusto e di ribellione verso quel tipo di educazione; ovviamente nella sua grigia famiglia non mancano anche perversioni nascoste (incarnate nella figura del nonno) alle quali l'autobiografia dedica pagine esilaranti.
Nei primi anni Ottanta la famigliola si trasferisce però a Tampa Bay, in Florida. È qui che Brian inizia ad appassionarsi di musica: hard-rock e glam-rock sono in cima alle sue preferenze.
A 18 anni inizia a collaborare con una rivista musicale, e nel 1989 forma la sua prima band, gli Spooky Kids. Al suo fianco è l'amico chitarrista Scott Mitchell. Ben presto il nome della band cambia in Marilyn Manson & The Spooky Kids. Warner si ribattezza appunto Marilyn Manson (che era il nome del protagonista di un suo racconto scolastico) e invita i suoi compagni a fare altrettanto: ribattezzarsi cioè con il nome di una vedette, attrice, sex-symbol più o meno famosa, e il cognome di un serial killer. Giochino divertente che dà come risultato questa line-up: Brian Warner/Marilyn Manson (voce), Scott Mitchell/Daisy Berkowitz (chitarra), Brad Stewart/Gidget Gein (basso) e Stephen Gregory/Madonna-Wayne Gacy (tastiere e drum-machine).
Il sound è di impronta industrial-metal, ma il gruppo si fa notare per i suoi terrificanti concerti, più che per i suoi primi demo. Manson comincia a elaborare la sua maschera, giocata su un make-up estremo e aggressivo. Il nome del gruppo circola nella scena underground della Florida, già fertile terreno di coltura per alcune delle band più truculente made in USA.
La svolta arriva però nel 1992: sia per l'introduzione nel gruppo del batterista Fred Streithorse/Sara Lee Lucas, sia soprattutto perché a contattare i Manson è uno dei personaggi più rispettati della scena industrial-rock statutinense, Trent Reznor (Nine Inch Nails), che mette sotto contratto la band per la sua etichetta, la Nothing Records.
Rimpiazzato il bassista con la new entry Twiggy Ramirez (al secondo Jeordie Osborne White), nel 1993 Marilyn Manson e soci aprono i concerti dei Nine Inch Nails e si apprestano a incidere il primo album, che esce l'anno successivo: Portrait of an American Family (1994).
Al suo primo vero impatto con il grande pubblico, Mr.Manson sciorina un campionario di assalti sonori e verbali da far impallidire più di un gruppo trash-metal o simili: brani come "Cake And Sodomy", in particolare, fanno scalpore. Musicalmente, però, l'album (abilmente prodotto da Trent Reznor in persona) dice ben poco: tra i ritmi e le distorsioni martellanti, più che gli insipidi disturbi elettronici a cogliere nel segno è la voce viscida e maligna di Manson. Al di là di questo comunque gli unici brani a dire qualcosa dal punto di vista musicale sono "My Monkey" e, con ancor meno originalità, "Lunchbox".
Anticristo o Superstar?
L'album ottiene un buon successo, ma nel 1994 Manson fa parlare di sé per ben altri motivi: in quell'anno infatti viene nominato "Reverendo" da un ormai rincitrullito Anton LaVey, fondatore della Chiesa di Satana. Ci si comincia a interessare sul serio dunque a questo strano personaggio: questo androgino, anoressico, inquietante essere che inizia a frequentare la gente "giusta" e ad apparire sulle copertine "giuste": va riconosciuto certo a Brian di essersi costruito il suo personaggio senza tralasciare alcun dettaglio e con lungimirante abilità. Il suo è il perfetto physique du role per sostenere il ruolo di essere "post-umano" (come lui stesso si definirà in una sua canzone), plasmato da look e make-up sempre più eccessivi.
Nel 1995, secondo la prassi tipica dei Nine Inch Nails, anche i Marilyn Manson pubblicano il loro disco di "accompagnamento" all'opera maggiore: Smells Like Children (1995) contiene remix di alcuni brani dell'album d'esordio più alcune cover. Spicca quella di "Sweet Dreams", il mitico hit degli Eurythmics, in una versione repellente, accompagnata da un video ancora più sordido, tutto al punto giusto, si capisce, per la heavy-rotation di Mtv.
I tempi sono dunque maturi per il "botto", che arriva puntualmente nel 1996, grazie all'album manifesto Antichrist Superstar e ai suoi incalzanti singoli "Tourniquet" e soprattutto "The Beautiful People" (e grazie anche ai relativi video, realizzati dalla geniale Floria Sigismondi, nei quali Manson si sottopone ad autentici tour de force di make-up). L'album è marchiato a fuoco dagli arrangiamenti di Trent Reznor (che figura qui anche come musicista oltre che come produttore), in brani come "Minute Of Decay", "Irresponsible Hate Anthem", "Wormboy" e la sorprendente chiusura a passo di funerale di "The Man That You Fear". Album lungo e variegato, in sostanza decisamente maturo, Antichrist Superstar è soprattutto la prima auto-celebrazione pubblica di Manson, che ha fiutato il grande successo e non intende farselo scappare. Successo che arriva puntuale: forte del tam-tam mediatico che circonda il personaggio, l'album esordisce al numero 3 della chart americana, gli alfieri del buon gusto e della morale rabbrividiscono di fronte a questo mostro nato e cresciuto nel loro seno, per il quale sembra starsi sviluppando una sorta di mania collettiva: Manson è sulla bocca di tutti, nel bene e nel male, ma non importa. L'Anticristo è solo il mezzo: il suo fine è essere la Superstar, e c'è riuscito.
Fioccano le copertine (per essere una "superstar" è condizione ultima apparire sulla copertina del Rolling Stone, e mr.Manson non si sottrae certo a questa legge non scritta dello spettacolo a stelle e strisce), fioccano le polemiche per i suoi testi e i suoi atteggiamenti (nel tempo Manson verrà puntualmente tirato in ballo ogni qual volta dei giovani commetteranno delitti atroci e inspiegabili, specie se di matrice "satanica"), fioccano articoli e libri che si interrogano sul "caso" Marilyn Manson, ma fioccano anche le apparizioni in tutti gli appuntamenti di rito di MTV, fioccano flirt e gossip piccanti, e soprattutto fioccano tanti tanti soldi, tanti tanti giovani fan, e, a coronare il tutto, arriva la vendutissima auto-biografia. Nel frattempo, il chitarrista Berkowitz (vera anima del duro sound degli esordi) lascia la band, sostituito da un personaggio più anonimo come John 5.
La lenta decadenza
A questo punto Manson sceglie di uscire dall'ombra del suo mentore, Trent Reznor (sebbene fosse quest'ultimo ormai a essere eclissato agli occhi del grande pubblico dal suo pupillo). La separazione professionale tra i due avviene in modo non proprio amichevole, anche se la riconciliazione non tarderà ad arrivare, ufficializzata dal divertentissimo video dei NIN "STarfuckers Inc.", diretto da Manson stesso e interpretato con sarcasmo da entrambe le stars. Nel frattempo, forte del suo status di "Superstar", Manson può tranquillamente rischiare di 'ballare da solo' nel nuovo album Mechanical Animals all'insegna di un sound più pomposo e decisamente meno aggressivo (il produttore è Michael Beinhorn, già al lavoro con i Soundgarden): dal canto suo Warner si reincarna in un personaggo di asessuato alieno, manipolato e imprigionato dal sistema e dal business dentro una gabbia dorata (il tutto è dichiaratamente ispirato a David Bowie, tanto che molti parlando di questo album come di un album "glam"). "The Dope Show", primo singolo e primo hit tratto dall'album, è anche il pezzo-manifesto del concept ("they love you when you are on the covers, when you're not than they love another"): concept che critica il successo, la televisione, i mass-media, e lo star-system in generale, cercando di ottenere ancora più successo e di integrarsi ancora di più nello star-system. Un classico. Ipocrisia di fondo a parte, Manson indovina comunque brani di buona fattura come la drammatica "Coma White" e la già citata "Posthuman", vero manifesto di tutta la sua "arte". A trionfare comunque è la scatenatissima "Rock Is Dead", che di lì a poco svetterà anche nella soundtrack del cult-movie "Matrix".
Ma il personaggio inizia a mostrare la corda: come ogni prodotto che sceglie Mtv come scopo ultimo della sua esistenza, anche per Mr. Manson arriva il momento in cui non si riesce più a mantenere viva l'attenzione su di sé, passati quei due/tre anni fortunati. Il nostro sembra soprattutto non sapere più cosa inventarsi per stupire ancora, non tanto i suoi fan, quanto i suoi detrattori (per la formula: più gente parla male di te, più gente saprà il tuo nome). Il guaio è che dal terrore e dal rifiuto iniziale si è passati ora a una indifferente tolleranza. L'incubo di ogni personaggio come lui (si può dire l'incubo di ogni effimera popstar, perché è in questo che, paradossalmente, Manson si sta trasformando): l'indifferenza delle masse.
Tutto ciò porta per reazione al'album più onesto della sua carriera, forse l'unico dove Manson crede realmente in ciò che fa e in ciò che canta: Holy Wood (In The Shadow Of The Valley Of Death) (Interscope, 2000), monumentale concept articolato in 19 brani, è per la prima volta scritto, prodotto, arrangiato e suonato per la gran parte dal solo Manson (lo aiuta in studio il produttore David Sardy). È anche la chiusura di una ideale trilogia iniziata con Antichrist. Nella copertina Brian si fa ritrarre crocefisso (uff!), come a dire che la sua parabola su questa terra è giunta a triste conclusione, incompreso e rinnegato dal popolo: viva la modestia, senza dubbio. Per fortuna il disco è il più rabbioso (ma mai ingenuamente brutale) e veemente della sua carriera, forte di brani concisi e potenti come "The Fight Song" e di tragedie gotiche come la maestosa "The Nobodies". Certo, la carne al fuoco è troppa per il limitato talento e la limitata fantasia di Mr.Manson (confrontato con un qualunque brano di Trent Reznor anche il suo pezzo più riuscito è davvero poca, pochissima cosa), ma l'impatto è comunque di portata più ampia che in qualunque altro suo disco. Per la prima volta un album di Marilyn Manson si fa davvero, almeno in parte, ammirare. Forse per la prima volta Brian Warner si preoccupa più di essere un musicista che una superstar.
Ma è un fuoco di paglia: il nuovo millennio infatti vede Manson diventare qualcosa di terribilmente patetico, una popstar decadente incapace di rivitalizzare la propria immagine. La triste cover del classico dei Soft Cell "Tainted Love" (2001) è significativamente realizzata come soundtrack di un teen-movie. E dato che nel campo del pop da Mtv la cosa più importante è il videoclip, Manson - i cui video in passato erano quasi sempre di altissimo livello - inizia a toccare sempre più il fondo anche su questo versante, avvicinandosi a livelli di volgarità degni dell'immondizia hip-hop. E in ogni caso, ciò che resta della sua band se ne va con l'abbandono del bassista Twiggy Ramirez (che, va detto, è uno dei migliori bassisti rock degli ultimi anni), passato prima agli A Perfect Circle poi ai Nine Inch Nails.
Al lavoro su un nuovo album Manson chiama dunque al suo fianco il tedesco Tim Skold (ex KMFDM) che si sobbarca quasi per intero il lavoro di produzione, arrangiamento ed esecuzione delle parti strumentali. Quello che appare su The Golden Age Of Grotesque (Interscope, 2003) è però un Manson stanco, senza uno straccio di idea, che gira a vuoto su sé stesso, che non sa come ridare vita a una maschera ormai vuota come la sua musica. Manson cerca di reinventare la sua carriera ispirandosi al burlesque, influenzato senza dubbio dalla sua pubblicizzatissima relazione con la modella Dita Von Teese. Cosa che dice tutto sul valore musicale di un album tutto di facciata, in realtà inconsistente, ripetitivo, assolutamente privo di mordente. I fan, comunque, restano fedeli e consentono al disco di raggiungere un buon successo. Mtv continua a voler bene a questa sua eccentrica gallina dalle uova d'oro e continua ad affidargli ospitate di lusso e conduzioni di eventi speciali (ultimo in ordine di tempo: lo show "Icons" in onore dei Cure). Artisticamente però, Manson appare morto e sepolto. Il poco che aveva da dire lo ha esaurito in fretta. Resta ormai una maschera vuota, che non fa più paura a nessuno.
Di recente Manson ha pubblicato il suo primo greatest hits, intitolato - significativamente - Lest We Forget (Interscope, 2004), con la cover di "Personal Jesus" dei Depeche Mode a cercare - invano - di dare qualche sparuto segno di vitalità.
Nel 2007, il ritorno con Eat Me, Drink Me si attesta su livelli mediocri ma perlomeno nuovamente rispettabili: Manson sembra essersi reso conto dei tonfi degli ultimi anni e si immerge in un salutare bagno di modestia, ritrovando un minimo di motivazione e ispirazione. Tra brani scontati e altri di discreta fattura, è forse il suo disco più gotico e barocco. Godibile e trascurabile.
Inizia con questa dedica ai genitori l'autobiografia di Brian Warner, in arte Marilyn Manson, il più significativo anti-eroe mediatico apparso sotto i riflettori del music-business degli anni Novanta. Una riga che dice tutto quel che c'è da sapere su Marilyn Manson.
Il suo è un caso esemplare di "personaggio" che se all'inizio poteva anche risultare realmente disturbante, con il successo (specie quello di scandalo) si è visto costretto a trasformarsi in una maschera innocua, ultima e perfetta espressione del cattivo gusto e l'ipocrisia dello show-biz.
La sua è anche una carriera i cui aspetti significativi si svolgono per il 99% fuori dal discorso musicale: è una carriera fatta di shock e provocazioni programmate ad arte, di un teatro del grottesco più kitsch e truculento mutuato da provocatori del passato ben più trasgressivi e originali di lui (su tutti Alice Cooper e Ozzy Osbourne, ma anche il compianto Rozz Williams). Provocazioni studiate alla perfezione da un lato per scandalizzare le masse di benpensanti, bigotti, finto-moralisti e compagnia bella (scandalo sulla bocca di tutti, scandalo di cui parlare nei talk show televisivi = tanta utile pubblicità) e dall'altro per apparire come una rivelazione a frotte di ragazzini rincitrulliti da Mtv, stile Beavis & Butthead, che eleggendo Manson a loro idolo hanno finalmente un modello di "cattivo", "trasgressivo" e "pericoloso" alla loro portata, pronto ad assecondare ogni loro aspettativa. Amenità quali farsi crocifiggere e strappare pagine della Bibbia sul palco (tutto già fatto da Rozz Williams, grazie), e più in generale i suoi concerti all'insegna dell'oscenità (ma il suo è perlopiù un teatro della provocazione rimasto fermo alla fase anale), le sue canzoni all'insegna della brutalità più rozza e più facile e, in maniera direttamente proporzionale al crescere del suo successo, sempre più falsa e vuota.
Manson è l'ultimo rock-shocker piombato sulla scena: ma è lungi dall'essere il più originale, o il più pericoloso o trasgressivo. Al massimo può essere a ragione considerato uno dei furbi, intelligenti e commercialmente avveduti. Se a Marilyn Manson vanno riconosciuti dei meriti questi sono quasi esclusivamente di natura mediatica: oggi non più, ma almeno a partire dagli ultimi anni Novanta è innegabile la sua abilità nel gestire la sua immagine (abilità però più vicina semmai a quella di Madonna che a quella di David Bowie), attraverso accorti cambi di look, apparizioni e dichiarazioni pubbliche. Soprattutto è innegabile la sua furbizia nel cavalcare abilmente ogni minima occasione di scandalo che possa riguardarlo, anche solo lontanamente.
Musicalmente ha scritto pagine di importanza minima, se non nulla. Ha azzeccato, nel suo genere, alcune buone canzoni e poco più. Ma per diventare il nemico pubblico numero uno del mainstream nell'era delle Spice Girls prima e di Britney Spears poi, è logico che il fatto musicale sia di gran lunga il meno importante.
Ritratto di una famiglia americana
Brian Warner nasce a Canton, Ohio, nel 1969. La sua è la tipica famiglia media della squallida provincia americana: figlio unico di Barbara, infermiera, e Hugh Warner, commerciante, reduce dal Vietnam, assente, irascibile, violento. Ovviamente, il giovane Brian frequenta una repressiva scuola religiosa, nella quale ovviamente sviluppa un senso di disgusto e di ribellione verso quel tipo di educazione; ovviamente nella sua grigia famiglia non mancano anche perversioni nascoste (incarnate nella figura del nonno) alle quali l'autobiografia dedica pagine esilaranti.
Nei primi anni Ottanta la famigliola si trasferisce però a Tampa Bay, in Florida. È qui che Brian inizia ad appassionarsi di musica: hard-rock e glam-rock sono in cima alle sue preferenze.
A 18 anni inizia a collaborare con una rivista musicale, e nel 1989 forma la sua prima band, gli Spooky Kids. Al suo fianco è l'amico chitarrista Scott Mitchell. Ben presto il nome della band cambia in Marilyn Manson & The Spooky Kids. Warner si ribattezza appunto Marilyn Manson (che era il nome del protagonista di un suo racconto scolastico) e invita i suoi compagni a fare altrettanto: ribattezzarsi cioè con il nome di una vedette, attrice, sex-symbol più o meno famosa, e il cognome di un serial killer. Giochino divertente che dà come risultato questa line-up: Brian Warner/Marilyn Manson (voce), Scott Mitchell/Daisy Berkowitz (chitarra), Brad Stewart/Gidget Gein (basso) e Stephen Gregory/Madonna-Wayne Gacy (tastiere e drum-machine).
Il sound è di impronta industrial-metal, ma il gruppo si fa notare per i suoi terrificanti concerti, più che per i suoi primi demo. Manson comincia a elaborare la sua maschera, giocata su un make-up estremo e aggressivo. Il nome del gruppo circola nella scena underground della Florida, già fertile terreno di coltura per alcune delle band più truculente made in USA.
La svolta arriva però nel 1992: sia per l'introduzione nel gruppo del batterista Fred Streithorse/Sara Lee Lucas, sia soprattutto perché a contattare i Manson è uno dei personaggi più rispettati della scena industrial-rock statutinense, Trent Reznor (Nine Inch Nails), che mette sotto contratto la band per la sua etichetta, la Nothing Records.
Rimpiazzato il bassista con la new entry Twiggy Ramirez (al secondo Jeordie Osborne White), nel 1993 Marilyn Manson e soci aprono i concerti dei Nine Inch Nails e si apprestano a incidere il primo album, che esce l'anno successivo: Portrait of an American Family (1994).
Al suo primo vero impatto con il grande pubblico, Mr.Manson sciorina un campionario di assalti sonori e verbali da far impallidire più di un gruppo trash-metal o simili: brani come "Cake And Sodomy", in particolare, fanno scalpore. Musicalmente, però, l'album (abilmente prodotto da Trent Reznor in persona) dice ben poco: tra i ritmi e le distorsioni martellanti, più che gli insipidi disturbi elettronici a cogliere nel segno è la voce viscida e maligna di Manson. Al di là di questo comunque gli unici brani a dire qualcosa dal punto di vista musicale sono "My Monkey" e, con ancor meno originalità, "Lunchbox".
Anticristo o Superstar?
L'album ottiene un buon successo, ma nel 1994 Manson fa parlare di sé per ben altri motivi: in quell'anno infatti viene nominato "Reverendo" da un ormai rincitrullito Anton LaVey, fondatore della Chiesa di Satana. Ci si comincia a interessare sul serio dunque a questo strano personaggio: questo androgino, anoressico, inquietante essere che inizia a frequentare la gente "giusta" e ad apparire sulle copertine "giuste": va riconosciuto certo a Brian di essersi costruito il suo personaggio senza tralasciare alcun dettaglio e con lungimirante abilità. Il suo è il perfetto physique du role per sostenere il ruolo di essere "post-umano" (come lui stesso si definirà in una sua canzone), plasmato da look e make-up sempre più eccessivi.
Nel 1995, secondo la prassi tipica dei Nine Inch Nails, anche i Marilyn Manson pubblicano il loro disco di "accompagnamento" all'opera maggiore: Smells Like Children (1995) contiene remix di alcuni brani dell'album d'esordio più alcune cover. Spicca quella di "Sweet Dreams", il mitico hit degli Eurythmics, in una versione repellente, accompagnata da un video ancora più sordido, tutto al punto giusto, si capisce, per la heavy-rotation di Mtv.
I tempi sono dunque maturi per il "botto", che arriva puntualmente nel 1996, grazie all'album manifesto Antichrist Superstar e ai suoi incalzanti singoli "Tourniquet" e soprattutto "The Beautiful People" (e grazie anche ai relativi video, realizzati dalla geniale Floria Sigismondi, nei quali Manson si sottopone ad autentici tour de force di make-up). L'album è marchiato a fuoco dagli arrangiamenti di Trent Reznor (che figura qui anche come musicista oltre che come produttore), in brani come "Minute Of Decay", "Irresponsible Hate Anthem", "Wormboy" e la sorprendente chiusura a passo di funerale di "The Man That You Fear". Album lungo e variegato, in sostanza decisamente maturo, Antichrist Superstar è soprattutto la prima auto-celebrazione pubblica di Manson, che ha fiutato il grande successo e non intende farselo scappare. Successo che arriva puntuale: forte del tam-tam mediatico che circonda il personaggio, l'album esordisce al numero 3 della chart americana, gli alfieri del buon gusto e della morale rabbrividiscono di fronte a questo mostro nato e cresciuto nel loro seno, per il quale sembra starsi sviluppando una sorta di mania collettiva: Manson è sulla bocca di tutti, nel bene e nel male, ma non importa. L'Anticristo è solo il mezzo: il suo fine è essere la Superstar, e c'è riuscito.
Fioccano le copertine (per essere una "superstar" è condizione ultima apparire sulla copertina del Rolling Stone, e mr.Manson non si sottrae certo a questa legge non scritta dello spettacolo a stelle e strisce), fioccano le polemiche per i suoi testi e i suoi atteggiamenti (nel tempo Manson verrà puntualmente tirato in ballo ogni qual volta dei giovani commetteranno delitti atroci e inspiegabili, specie se di matrice "satanica"), fioccano articoli e libri che si interrogano sul "caso" Marilyn Manson, ma fioccano anche le apparizioni in tutti gli appuntamenti di rito di MTV, fioccano flirt e gossip piccanti, e soprattutto fioccano tanti tanti soldi, tanti tanti giovani fan, e, a coronare il tutto, arriva la vendutissima auto-biografia. Nel frattempo, il chitarrista Berkowitz (vera anima del duro sound degli esordi) lascia la band, sostituito da un personaggio più anonimo come John 5.
La lenta decadenza
A questo punto Manson sceglie di uscire dall'ombra del suo mentore, Trent Reznor (sebbene fosse quest'ultimo ormai a essere eclissato agli occhi del grande pubblico dal suo pupillo). La separazione professionale tra i due avviene in modo non proprio amichevole, anche se la riconciliazione non tarderà ad arrivare, ufficializzata dal divertentissimo video dei NIN "STarfuckers Inc.", diretto da Manson stesso e interpretato con sarcasmo da entrambe le stars. Nel frattempo, forte del suo status di "Superstar", Manson può tranquillamente rischiare di 'ballare da solo' nel nuovo album Mechanical Animals all'insegna di un sound più pomposo e decisamente meno aggressivo (il produttore è Michael Beinhorn, già al lavoro con i Soundgarden): dal canto suo Warner si reincarna in un personaggo di asessuato alieno, manipolato e imprigionato dal sistema e dal business dentro una gabbia dorata (il tutto è dichiaratamente ispirato a David Bowie, tanto che molti parlando di questo album come di un album "glam"). "The Dope Show", primo singolo e primo hit tratto dall'album, è anche il pezzo-manifesto del concept ("they love you when you are on the covers, when you're not than they love another"): concept che critica il successo, la televisione, i mass-media, e lo star-system in generale, cercando di ottenere ancora più successo e di integrarsi ancora di più nello star-system. Un classico. Ipocrisia di fondo a parte, Manson indovina comunque brani di buona fattura come la drammatica "Coma White" e la già citata "Posthuman", vero manifesto di tutta la sua "arte". A trionfare comunque è la scatenatissima "Rock Is Dead", che di lì a poco svetterà anche nella soundtrack del cult-movie "Matrix".
Ma il personaggio inizia a mostrare la corda: come ogni prodotto che sceglie Mtv come scopo ultimo della sua esistenza, anche per Mr. Manson arriva il momento in cui non si riesce più a mantenere viva l'attenzione su di sé, passati quei due/tre anni fortunati. Il nostro sembra soprattutto non sapere più cosa inventarsi per stupire ancora, non tanto i suoi fan, quanto i suoi detrattori (per la formula: più gente parla male di te, più gente saprà il tuo nome). Il guaio è che dal terrore e dal rifiuto iniziale si è passati ora a una indifferente tolleranza. L'incubo di ogni personaggio come lui (si può dire l'incubo di ogni effimera popstar, perché è in questo che, paradossalmente, Manson si sta trasformando): l'indifferenza delle masse.
Tutto ciò porta per reazione al'album più onesto della sua carriera, forse l'unico dove Manson crede realmente in ciò che fa e in ciò che canta: Holy Wood (In The Shadow Of The Valley Of Death) (Interscope, 2000), monumentale concept articolato in 19 brani, è per la prima volta scritto, prodotto, arrangiato e suonato per la gran parte dal solo Manson (lo aiuta in studio il produttore David Sardy). È anche la chiusura di una ideale trilogia iniziata con Antichrist. Nella copertina Brian si fa ritrarre crocefisso (uff!), come a dire che la sua parabola su questa terra è giunta a triste conclusione, incompreso e rinnegato dal popolo: viva la modestia, senza dubbio. Per fortuna il disco è il più rabbioso (ma mai ingenuamente brutale) e veemente della sua carriera, forte di brani concisi e potenti come "The Fight Song" e di tragedie gotiche come la maestosa "The Nobodies". Certo, la carne al fuoco è troppa per il limitato talento e la limitata fantasia di Mr.Manson (confrontato con un qualunque brano di Trent Reznor anche il suo pezzo più riuscito è davvero poca, pochissima cosa), ma l'impatto è comunque di portata più ampia che in qualunque altro suo disco. Per la prima volta un album di Marilyn Manson si fa davvero, almeno in parte, ammirare. Forse per la prima volta Brian Warner si preoccupa più di essere un musicista che una superstar.
Ma è un fuoco di paglia: il nuovo millennio infatti vede Manson diventare qualcosa di terribilmente patetico, una popstar decadente incapace di rivitalizzare la propria immagine. La triste cover del classico dei Soft Cell "Tainted Love" (2001) è significativamente realizzata come soundtrack di un teen-movie. E dato che nel campo del pop da Mtv la cosa più importante è il videoclip, Manson - i cui video in passato erano quasi sempre di altissimo livello - inizia a toccare sempre più il fondo anche su questo versante, avvicinandosi a livelli di volgarità degni dell'immondizia hip-hop. E in ogni caso, ciò che resta della sua band se ne va con l'abbandono del bassista Twiggy Ramirez (che, va detto, è uno dei migliori bassisti rock degli ultimi anni), passato prima agli A Perfect Circle poi ai Nine Inch Nails.
Al lavoro su un nuovo album Manson chiama dunque al suo fianco il tedesco Tim Skold (ex KMFDM) che si sobbarca quasi per intero il lavoro di produzione, arrangiamento ed esecuzione delle parti strumentali. Quello che appare su The Golden Age Of Grotesque (Interscope, 2003) è però un Manson stanco, senza uno straccio di idea, che gira a vuoto su sé stesso, che non sa come ridare vita a una maschera ormai vuota come la sua musica. Manson cerca di reinventare la sua carriera ispirandosi al burlesque, influenzato senza dubbio dalla sua pubblicizzatissima relazione con la modella Dita Von Teese. Cosa che dice tutto sul valore musicale di un album tutto di facciata, in realtà inconsistente, ripetitivo, assolutamente privo di mordente. I fan, comunque, restano fedeli e consentono al disco di raggiungere un buon successo. Mtv continua a voler bene a questa sua eccentrica gallina dalle uova d'oro e continua ad affidargli ospitate di lusso e conduzioni di eventi speciali (ultimo in ordine di tempo: lo show "Icons" in onore dei Cure). Artisticamente però, Manson appare morto e sepolto. Il poco che aveva da dire lo ha esaurito in fretta. Resta ormai una maschera vuota, che non fa più paura a nessuno.
Di recente Manson ha pubblicato il suo primo greatest hits, intitolato - significativamente - Lest We Forget (Interscope, 2004), con la cover di "Personal Jesus" dei Depeche Mode a cercare - invano - di dare qualche sparuto segno di vitalità.
Nel 2007, il ritorno con Eat Me, Drink Me si attesta su livelli mediocri ma perlomeno nuovamente rispettabili: Manson sembra essersi reso conto dei tonfi degli ultimi anni e si immerge in un salutare bagno di modestia, ritrovando un minimo di motivazione e ispirazione. Tra brani scontati e altri di discreta fattura, è forse il suo disco più gotico e barocco. Godibile e trascurabile.
Iscriviti a:
Post (Atom)